Ricorso per la Regione autonoma del  Friuli-Venezia  Giulia,  con
sede in 34121 Trieste (TS), piazza Unita' d'Italia n. 1,  cod.  fisc.
80014930327, in persona del Presidente pro tempore dott. Massimiliano
Fedriga, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al  presente
atto e in forza di delibera della giunta regionale 9  dicembre  2020,
n. 1844, dagli avv.ti prof. Massimo Luciani del Foro  di  Roma  (cod.
fisc.   LCNMSM52L23H501G;   fax   06.90236028;   posta    elettronica
certificata  massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),   Ettore   Volpe
dell'Avvocatura   regionale   (cod.   fisc.   VLPTTR57E11L050S;   fax
040.3772929;          posta          elettronica          certificata
ettore.volpe@certregione.fvg.it) e  Beatrice  Croppo  dell'Avvocatura
regionale  (cod.  fisc.  CRPBRC62L47C758R;  fax  040.3772906;   posta
elettronica  certificata   beatrice.croppo@certregione.fvg.it),   con
domicilio  eletto  presso  lo  studio  del  primo  in   00153   Roma,
Lungotevere Raffaello Sanzio n. 9; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,  rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede in 00186 Roma  -
via  dei  Portoghesi  n.  12  -  e'  domiciliato  ex  lege,  per   la
dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 100, commi 1,
2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10 e 10-bis del decreto-legge 14 agosto 2020, n.
104,  recante  «Misure  urgenti  per  il  sostegno  e   il   rilancio
dell'economia». 
 
                                Fatto 
 
    1. Con decreto-legge 14 agosto 2020,  n.  104  (pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale del 14  agosto  2020,  n.  203),  convertito,  con
modificazioni, in legge 13 ottobre 2020,  n.  126  (pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale del 13 ottobre 2020, n. 253), sono state  adottate
«Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia». 
    L'art. 100 di  tale  decreto-legge,  rubricato  «Concessioni  del
demanio marittimo,  lacuale  e  fluviale»,  cosi'  come  parzialmente
modificato dalla successiva legge  di  conversione,  per  quanto  qui
interessa, prevede che: 
        «Le disposizioni di cui all'art. 1, commi 682  e  683,  della
legge 30 dicembre 2018, n. 145, si applicano anche  alle  concessioni
lacuali e  fluviali,  ivi  comprese  quelle  gestite  dalle  societa'
sportive iscritte al registro Coni di cui al decreto  legislativo  23
luglio 1999, n. 242, nonche' alle concessioni per la realizzazione  e
la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi  i
punti d'ormeggio, nonche' ai rapporti aventi ad oggetto  la  gestione
di strutture  turistico-ricreative  in  aree  ricadenti  nel  demanio
marittimo  per  effetto  di   provvedimenti   successivi   all'inizio
dell'utilizzazione» (comma 1); 
        «All'art.  3  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993,  n.  494,
con effetto dal 1° gennaio 2021 il comma 1, lettera b), punto 2.1) e'
sostituito  dal  seguente:  "2.1)  per  le  pertinenze  destinate  ad
attivita' commerciali, terziario-direzionali e di produzione di  beni
e servizi, il canone e' determinato ai sensi del punto  1.3)".  Fermo
restando quanto previsto al successivo comma 4, sono  comunque  fatti
salvi i pagamenti gia' eseguiti alla data di entrata in vigore  delle
presenti disposizioni» (comma 2); 
        «Alle concessioni dei beni del demanio marittimo  e  di  zone
del mare  territoriale  aventi  ad  oggetto  la  realizzazione  e  la
gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto si  applicano,
con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2007, le misure dei canoni  di
cui al comma 1, lettera b), dell'art. 3 del decreto-legge  5  ottobre
1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4  dicembre
1993, n. 494, come modificato dal comma 2 del presente articolo,  con
riferimento alle caratteristiche dei  beni  oggetto  di  concessione,
quali  erano  all'avvio  del  rapporto  concessorio,  nonche'   delle
modifiche   successivamente    intervenute    a    cura    e    spese
dell'amministrazione concedente.  Le  somme  per  canoni  relative  a
concessioni demaniali marittime di cui al primo periodo,  versate  in
eccedenza rispetto a quelle dovute a decorrere dal 1°  gennaio  2007,
sono compensate - a decorrere dal 2021 - con quelle da  versare  allo
stesso titolo, in base alla medesima disposizione,  in  rate  annuali
costanti per la residua durata della concessione.  Gli  enti  gestori
provvedono al ricalcolo delle  somme  dovute  dai  concessionari  con
applicazione dei citati criteri  dal  1°  gennaio  2007  fino  al  31
dicembre 2019, effettuando i  relativi  conguagli,  con  applicazione
delle modalita' di compensazione di cui al  secondo  periodo»  (comma
3); 
        «Dal 1° gennaio 2021 l'importo annuo del canone dovuto  quale
corrispettivo  dell'utilizzazione  di  aree  e  pertinenze  demaniali
marittime  con  qualunque  finalita'  non  puo',   comunque,   essere
inferiore a euro 2.500» (comma 4); 
        «Nelle more della revisione e dell'aggiornamento  dei  canoni
demaniali marittimi ai sensi dell'art. 1, comma 677, lettera e) della
legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono sospesi fino al 15 dicembre 2020
i procedimenti amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore
dal presente decreto e sono inefficaci i relativi provvedimenti  gia'
adottati oggetto di contenzioso, inerenti al  pagamento  dei  canoni,
compresi i procedimenti e i provvedimenti  di  riscossione  coattiva,
nonche' di sospensione, revoca  o  decadenza  della  concessione  per
mancato versamento del canone, concernenti: 
          a)  le  concessioni  demaniali  marittime   per   finalita'
turistico-ricreative, con esclusivo  riferimento  a  quelle  inerenti
alla conduzione delle pertinenze demaniali, laddove i procedimenti  o
i provvedimenti siano connessi all'applicazione dei  criteri  per  il
calcolo dei canoni di cui all'art. 3, comma 1,  del  decreto-legge  5
ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  4
dicembre 1993, n. 494, ivi compresi i procedimenti di cui all'art. 1,
comma 484, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; 
          b) le concessioni demaniali marittime per la  realizzazione
e la gestione di strutture dedicate alla nautica da  diporto»  (comma
5); 
        «Al fine di ridurre il contenzioso relativo alle  concessioni
demaniali marittime  per  finalita'  turistico-ricreative  e  per  la
realizzazione e la gestione di strutture  dedicate  alla  nautica  da
diporto, derivante dall'applicazione dei criteri per il  calcolo  dei
canoni ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b),  numero  2.1),  del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo vigente fino alla data
di entrata in vigore del presente decreto, i procedimenti  giudiziari
o amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto, concernenti il pagamento dei relativi canoni, possono essere
definiti, previa domanda all'ente gestore e all'Agenzia  del  demanio
da parte del concessionario, mediante versamento: 
          a) in un'unica soluzione, di un importo,  pari  al  30  per
cento delle somme  richieste  dedotte  le  somme  eventualmente  gia'
versate a tale titolo; 
          b) rateizzato fino a un massimo di sei  annualita',  di  un
importo pari al 60 per cento delle somme richieste dedotte  le  somme
eventualmente gia' versate a tale titolo» (comma 7); 
        «La domanda per accedere alla definizione di cui al  comma  7
e' presentata entro il 15 dicembre 2020 ed entro il 30 settembre 2021
sono versati l'intero importo dovuto, se in un'unica soluzione, o  la
prima rata, se rateizzato» (comma 8); 
        «La liquidazione e il pagamento nei termini  assegnati  degli
importi di cui alle lettere a) e b) del comma 7  costituisce  a  ogni
effetto  rideterminazione  dei  canoni  dovuti  per   le   annualita'
considerate» (comma 9); 
        «La presentazione della domanda nel termine di cui al comma 8
sospende i procedimenti giudiziari o amministrativi di cui  al  comma
7, compresi quelli di riscossione coattiva nonche' i procedimenti  di
decadenza della concessione demaniale marittima per mancato pagamento
del  canone.  La  definizione  dei  procedimenti   amministrativi   o
giudiziari si realizza con il pagamento dell'intero  importo  dovuto,
se in un'unica soluzione,  o  dell'ultima  rata,  se  rateizzato.  Il
mancato pagamento di una rata entro sessanta  giorni  dalla  relativa
scadenza comporta la decadenza dal beneficio» (comma 10); 
        «All'art. 32, comma 1, del decreto-legge 12  settembre  2014,
n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre  2014,
n.  164,  la  parola:  "turisti"  e'   sostituita   dalla   seguente:
"diportisti" e sono aggiunte, in fine, le  seguenti  parole:  ",  con
esclusione dei  servizi  resi  nell'ambito  di  contratti  annuali  o
pluriennali per lo stazionamento"» (comma 10-bis). 
    In breve, le disposizioni di cui e' causa  hanno  modificato  per
vari profili la disciplina delle concessioni del  demanio  marittimo,
lacuale  e  fluviale,  con  riferimento  sia  alla  durata  che  alla
determinazione del canone e al contenzioso in atto. 
    2. La legge di conversione 13 ottobre 2020, n. 126, ha introdotto
nel decreto-legge n. 104 del 2020 l'art. 113-bis, a tenor  del  quale
«Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle  regioni
a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e  di  Bolzano
compatibilmente con i rispettivi  statuti  e  le  relative  norme  di
attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3», senza ulteriori specificazioni. 
    L'art. 100, commi 1, 2, 3, 4,  5,  7,  8,  9,  10  e  10-bis  del
decreto-legge 14 agosto 2020,  n.  104,  (pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale del 14 agosto 2020, n. 203), convertito, con modificazioni,
in legge 13 ottobre 2020, n. 126 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
del 13 ottobre 2020, n. 253),  e'  lesivo  degli  interessi  e  delle
attribuzioni costituzionali della Regione del Friuli-Venezia  Giulia,
che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale  per  i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    Premessa.  Come  accennato   in   narrativa,   l'art.   100   del
decreto-legge n. 104 del 2020 ha modificato per  profili  diversi  la
disciplina  delle  concessioni  del  demanio  marittimo,  lacuale   e
fluviale,  invadendo  le  prerogative  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia (hinc inde: anche Regione o Regione FVG). 
    Preliminarmente si dara' conto  dell'ammissibilita'  del  ricorso
nonostante l'introduzione nel decreto-legge n. 104 del 2020 dell'art.
113-bis (par. 1). 
    Successivamente (par. 2), prima di illustrare i singoli motivi di
censura, si descriveranno  le  plurime  attribuzioni  conferite  alla
Regione Friuli-Venezia Giulia  che  intersecano  a  vario  titolo  la
complessa disciplina introdotta dall'art. 100  del  decreto-legge  n.
104 del 2020. 
    Nei  singoli  motivi  di  ricorso  (parr.  3   sgg.),   poi,   si
indicheranno partitamente le specifiche censure. 
    1.   Preliminarmente,   deve   qui   osservarsi   che   ai   fini
dell'ammissibilita' del presente ricorso non rileva l'inserimento nel
decreto-legge, a opera della legge di conversione n.  126  del  2020,
dell'art.  113-bis,  il  quale  stabilisce  genericamente   che   «Le
disposizioni del presente decreto sono applicabili  nelle  regioni  a
statuto speciale e nelle Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente con i rispettivi  statuti  e  le  relative  norme  di
attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3». 
    Si tratta, come recita la rubrica dello stesso articolo,  di  una
pretesa  «clausola  di  salvaguardia»  in  favore   delle   autonomie
speciali. Tali clausole sono ormai  da  anni  contenute  nelle  leggi
dello Stato e - pur nelle diverse formule in cui esse sono  declinate
- dovrebbero adeguare la disciplina statale a quanto  previsto  dagli
statuti di autonomia speciale e dalle relative norme di attuazione. 
    In ordine alla valenza di dette clausole  codesta  ecc.ma  Corte,
tuttavia, ha avuto modo di chiarire che «L'eccessiva  vaghezza  della
loro formulazione, aggravata dalla complessa  struttura  delle  leggi
finanziarie, frutto della prassi invalsa negli ultimi anni, non  puo'
valere ad escludere le  autonomie  speciali  dall'applicazione  delle
norme contenute nelle suddette leggi» (sentenza n. 105  del  2007  e,
precedentemente, sentenze numeri 88, 118, 134 del 2006). 
    Orbene, la formulazione dell'art. 113-bis  del  decreto-legge  n.
104 del 2020 e' senza alcun dubbio estremamente  generica.  In  esso,
infatti, non vi e' alcun riferimento alle  singole  disposizioni  del
decreto-legge che si applicano alle regioni ad autonomia speciale e a
quelle  che  non  si  applicano:  per  quel  che  qui  specificamente
interessa, l'articolo  in  questione  avrebbe  dovuto  esplicitamente
disporre l'esclusione dell'applicabilita' dell'art. 100 alla  Regione
FVG. 
    Di conseguenza,  la  genericita'  della  disposizione  in  parola
impone alla Regione Friuli-Venezia Giulia  di  proporre  il  presente
ricorso a tutela delle sue attribuzioni, e - a piu' forte  ragione  -
non e' d'ostacolo all'ammissibilita' del gravame. 
    2. Come accennato in premessa, si da'  ora  conto  delle  diverse
competenze della Regione FVG nella materia incisa dalle  disposizioni
impugnate. 
    2.1. L'art. 4 dello statuto  della  regione  stabilisce  che  «In
armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento
giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali e con  gli  obblighi  internazionali  dello  Stato,
nonche' nel rispetto degli interessi  nazionali  e  di  quelli  delle
altre regioni, la regione  ha  potesta'  legislativa  nelle  seguenti
materie: 
        1) ordinamento degli uffici e  degli  enti  dipendenti  dalla
regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto; 
        [...] 
        2) agricoltura e foreste, bonifiche, ordinamento delle minime
unita' culturali e ricomposizione fondiaria,  irrigazione,  opere  di
miglioramento  agrario  e  fondiario,  zootecnia,  ittica,   economia
montana, corpo forestale; 
        3) caccia e pesca; 
        [...] 
        6) industria e commercio; 
        7) artigianato; 
        8) mercati e fiere; 
        9) viabilita', acquedotti  e  lavori  pubblici  di  interesse
locale e regionale; 
        10) turismo e industria alberghiera; 
        [...] 
        13) acque minerali e termali; 
        14) istituzioni culturali, ricreative  e  sportive;  musei  e
biblioteche di interesse locale e regionale». 
    L'art. 48 dello statuto stabilisce che «La regione ha una propria
finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi
della solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti  dagli  articoli
seguenti». 
    L'art. 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 15
gennaio 1987, n. 469, recante «Norme integrative di attuazione  dello
statuto speciale della Regione Friuli-Venezia  Giulia»,  dispone,  al
comma 1, che «La  definizione  delle  funzioni  amministrative,  come
enunciata nel decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  616  per
ciascuna materia in esso considerata, si intende riferita anche  alle
funzioni  amministrative  riguardanti   le   corrispondenti   materie
elencate negli articoli 4 e 5 dello statuto speciale» e, al comma  3,
che «Fra le funzioni amministrative trasferite alla Regione  Fr.-V.G.
con i  precedenti  decreti  di  attuazione  statutaria  si  intendono
comprese,  per  ciascuna  materia,  tutte  quelle  rientranti   nella
definizione  datane  per  le  regioni  ordinarie  dal   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 616». 
    Il  successivo  art.  7,  comma  1,  del  medesimo  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 469 del  1987  stabilisce  che  «Fermo
restando quanto previsto nel comma 3  dell'art.  6,  sono  attribuite
alla Regione Fr.-V.G., in aggiunta alle funzioni  amministrative  che
gia' le competono, ogni altra funzione amministrativa  che,  dismessa
dallo Stato per effetto del decreto del Presidente  della  Repubblica
n.  616  nel  territorio  delle  regioni  ordinarie,  sia  ancora  di
competenza statale nel  Friuli-Venezia  Giulia,  nonche'  ogni  altra
funzione amministrativa che dallo stesso decreto del Presidente della
Repubblica n. 616 o da  altro  provvedimento  legislativo  sia  stata
comunque conferita alle regioni ordinarie  e  non  sia  stata  ancora
estesa alla regione Fr.-V.G.». 
    L'art. 59, comma 1, del richiamato decreto del  Presidente  della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, dispone che  «Sono  delegate  alle
regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree
demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale
e  fluviale,  quando  la  utilizzazione  prevista   abbia   finalita'
turistiche e  ricreative.  Sono  escluse  dalla  delega  le  funzioni
esercitate  dagli  organi  dello  Stato  in  materia  di  navigazione
marittima, di sicurezza nazionale e di polizia doganale». 
    2.2. Quanto al demanio idrico  e  alla  laguna  di  Marano-Grado,
nonche' alla disciplina delle  relative  concessioni,  l'art.  1  del
decreto legislativo 25 maggio 2001,  n.  265  («Norme  di  attuazione
dello statuto speciale della Regione  Friuli-Venezia  Giulia  per  il
trasferimento di beni del demanio  idrico  e  marittimo,  nonche'  di
funzioni in materia di  risorse  idriche  e  di  difesa  del  suolo»)
dispone che: 
        «1. Sono trasferiti alla Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  di
seguito denominata regione, tutti i beni dello Stato appartenenti  al
demanio  idrico,  comprese  le  acque  pubbliche,  gli  alvei  e   le
pertinenze, i laghi e le opere  idrauliche,  situati  nel  territorio
regionale. 
        2. Sono trasferiti alla regione tutti i beni  dello  Stato  e
relative pertinenze, di cui all'art. 30, comma 2, della legge 5 marzo
1963, n. 366, situati nella laguna di Marano-Grado. 
        3. La regione esercita tutte le  attribuzioni  inerenti  alla
titolarita' dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2». 
    2.3. Con  riferimento  alle  concessioni  dei  beni  del  demanio
marittimo  di  titolarita'  statale  situati  nel  territorio   della
regione, il decreto legislativo 1° aprile 2004,  n.  111  («Norme  di
attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia
concernenti il trasferimento di funzioni in materia di  viabilita'  e
trasporti»), all'art. 9, comma 2, dispone che «Sono  trasferite  alla
regione, in base agli articoli 4, 5  e  8  dello  statuto,  tutte  le
funzioni amministrative, salvo quelle  espressamente  mantenute  allo
Stato dall'art. 11, in materia di trasporto merci,  motorizzazione  e
circolazione  su  strada,  navigazione  interna  e  porti  regionali,
comprese le funzioni relative alle concessioni dei beni  del  demanio
della navigazione interna, del demanio marittimo, di  zone  del  mare
territoriale per finalita' diverse da  quelle  di  approvvigionamento
energetico». 
    Il successivo comma 5 del medesimo  articolo  stabilisce  che  «I
proventi e le spese derivanti dalla gestione del demanio marittimo  e
della navigazione interna, per la parte non gia'  trasferita  con  il
decreto legislativo 25 maggio  2001,  n.  265,  [...]  spettano  alla
regione  dalla  data  di  decorrenza  dell'efficacia   del   presente
decreto». 
    2.4. In armonia con tali disposizioni, la Regione  Friuli-Venezia
Giulia ha disciplinato le materie di  propria  competenza,  definendo
anche il canone e la durata delle concessioni del  demanio  idrico  e
marittimo. 
    2.4.1. In particolare, la legge regionale n. 31 del 2005, recante
«Disposizioni in materia di pesca e acquacoltura», stabilisce che «La
regione esercita i seguenti compiti e funzioni: [...] 
        e) concessione di beni del demanio marittimo e  di  zone  del
mare  territoriale  ai  sensi  dell'art.  9,  comma  2,  del  decreto
legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello statuto
speciale  della  Regione   Friuli-Venezia   Giulia   concernenti   il
trasferimento di funzioni in materia di viabilita' e trasporti),  per
finalita' di pesca e acquacoltura» (art. 2, comma 1). 
    2.4.2. Successivamente, con la legge regionale n.  22  del  2006,
recante  «Norme  in  materia  di  demanio  marittimo  con   finalita'
turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale  n.  16/2002  in
materia di difesa del suolo e  di  demanio  idrico»,  la  regione  e'
intervenuta a disciplinare l'esercizio delle funzioni  amministrative
in materia di beni appartenenti al demanio marittimo  di  titolarita'
statale. L'art. 1, comma 1, dispone che «La presente legge disciplina
l'esercizio  delle  funzioni  amministrative  in  materia   di   beni
appartenenti    al     demanio     marittimo     avente     finalita'
turistico-ricreativa, diporto nautico, cantieristica  e  usi  diversi
rispetto a quelli precedenti, trasferite  dallo  Stato  alla  Regione
Friuli-Venezia Giulia in attuazione del decreto del Presidente  della
Repubblica 15 gennaio 1987, n. 469 (Norme integrative  di  attuazione
dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia  Giulia),  e  del
decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello
statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia  concernenti  il
trasferimento di funzioni in materia di viabilita' e trasporti),  nel
rispetto dei principi di adeguatezza e sussidiarieta',  in  relazione
all'attribuzione delle funzioni, nonche' dei principi di trasparenza,
non discriminazione, pubblicita' e concorrenza con  riferimento  alle
procedure di  concessione».  In  conformita'  alle  disposizioni  del
decreto-legge n. 400 del 1993, detta legge ha introdotto il Piano  di
utilizzazione del demanio marittimo, relativo al rilascio, al rinnovo
e  alla  durata  delle  concessioni  da  parte  della   regione,   da
predisporre in collaborazione con lo Stato, le amministrazioni e  gli
enti locali (art. 2, comma 3, lettera d)). 
    L'art. 5 della medesima legge  regionale,  rubricato  «Competenze
della regione», dispone che: 
        «1. La regione esercita le funzioni relative alla: 
          a) pianificazione di settore; 
          b) attivita' di indirizzo; 
          c) classificazione dei beni del demanio marittimo  in  base
alla valenza turistica. 
        2. In particolare la regione provvede: 
          a)   alla   redazione   e   approvazione   del   Piano   di
utilizzazione; 
          b) al  rilascio  di  concessioni  di  durata  superiore  ai
quindici anni; 
          c) alla classificazione  delle  aree  demaniali  marittime,
delle  pertinenze  e  degli  specchi  acquei  in  base  alla  valenza
turistica; 
          d) all'organizzazione e aggiornamento del  Ca.R.D.  e  alla
sua integrazione con il Sistema  informativo  territoriale  regionale
(S.I.Te.R.)». 
    L'art. 13-quater della legge regionale n. 22 del 2006, introdotto
con la legge regionale n. 10 del 2017, stabilisce che «Le concessioni
e le  autorizzazioni  relative  all'utilizzo  dei  beni  del  demanio
marittimo statale di cui all'art. 1 sono soggette all'applicazione di
un canone determinato con  legge  regionale,  i  cui  valori  vengono
aggiornati annualmente, in base all'indice ISTAT, sia in aumento  che
in diminuzione, con decreto  del  Presidente  della  regione,  previa
deliberazione della giunta regionale». 
    2.4.3. La legge regionale n.  10  del  2017  ha  disciplinato  la
durata delle concessioni, disponendo che: 
        «La Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  in  attuazione
dell'art. 4, primo  comma,  n.  10),  dello  statuto  speciale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale  31
gennaio 1963, n. 1 (Statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia), del decreto legislativo 25 maggio 2001,  n.  265  (Norme  di
attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia
per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo,  nonche'
di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo), del
decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello
statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia  concernenti  il
trasferimento di funzioni in materia di viabilita' e trasporti), e in
armonia  con  la  normativa  comunitaria  e  statale  vigente,  detta
disposizioni relative ai  beni  del  demanio  marittimo  regionale  e
statale nell'ambito della  laguna  di  Marano-Grado  e  ai  beni  del
demanio stradale regionale [...]» (art. 1, comma 1); 
        «La  durata  delle  concessioni  per  finalita'   produttive,
commerciali, industriali, ivi comprese le attivita' di  cantieristica
navale e per la realizzazione di strutture dedicate alla  nautica  da
diporto, e' determinata in base al piano economico-finanziario di cui
al comma 4 presentato dal richiedente,  e  non  puo'  comunque  avere
durata superiore a cinquanta anni» (art. 9, comma 4). 
    2.4.4. Da  ultimo,  e'  stata  recentemente  approvata  la  legge
regionale 18 maggio 2020, n. 8. L'art.  2  (recante  «Modifica  della
durata delle concessioni del demanio marittimo») dispone che  «Attesa
anche l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e al fine  di  garantire
certezza alle situazioni giuridiche e assicurare l'interesse pubblico
all'ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuita',  in
conformita' alle previsioni dei commi 682 e  683  dell'art.  1  della
legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2019-2021), e nel rispetto dei principi di imparzialita', trasparenza
e  pubblicita',  la  validita'  delle   concessioni   con   finalita'
turistico-ricreativa   e   sportiva,   diportistica    e    attivita'
cantieristiche connesse, nonche' con finalita' di acquacoltura sia in
mare che in laguna, disciplinate dalla legge  regionale  13  novembre
2006, n. 22 (Norme in materia  di  demanio  marittimo  con  finalita'
turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale  n.  16/2002  in
materia di difesa  del  suolo  e  di  demanio  idrico),  dalla  legge
regionale 21 aprile 2017, n. 10 (Disposizioni in materia  di  demanio
marittimo  regionale,  demanio   ferroviario   e   demanio   stradale
regionale, nonche' modifiche alla legge regionale  n.  17/2009,  alla
legge regionale n. 28/2002 e alla legge regionale n. 22/2006) e dalla
legge regionale 16 dicembre 2005, n. 31 (Disposizioni in  materia  di
pesca e acquacoltura), e  successive  modifiche  e  integrazioni,  in
essere alla data del 31 dicembre 2018, con  scadenza  antecedente  al
2033, e' estesa fino alla data del 31 dicembre  2033  a  domanda  dei
concessionari. 
    La durata degli atti concessori e' prorogata fino al termine  del
procedimento di cui al comma 1 e, comunque, per un periodo massimo di
un anno decorrente dalla data di entrata  in  vigore  della  presente
legge». 
    2.4.5. Giova notare che, tranne la legge regionale n. 10 del 2017
e la legge regionale n. 8 del 2020,  nessuna  delle  leggi  regionali
sopra richiamate e' mai stata oggetto di alcuna censura da parte  del
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Quanto alla legge  regionale  n.  10  del  2017,  essa  e'  stata
scrutinata da codesta ecc.ma Corte con sentenza n. 109 del 2018,  che
ha dichiarato, da un lato,  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  di
molte questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate  con  il
ricorso e, dall'altro, l'incostituzionalita' del solo art.  9,  comma
3. In quell'occasione, codesta ecc.ma  Corte  ha  affermato  che  «la
disciplina  delle  funzioni  amministrative  in  materia  di  demanio
marittimo e di demanio idrico, trasferite  alla  regione  resistente,
quanto al demanio marittimo, in attuazione dell'art.  7  del  decreto
del Presidente della  Repubblica  15  gennaio  1987,  n.  469  (Norme
integrative  di  attuazione  dello  statuto  speciale  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia); quanto ai beni  ricompresi  nella  laguna  di
Marano-Grado, in forza degli articoli 1, comma 2, e 2, comma  3,  del
decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello
statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia   Giulia   per   il
trasferimento di beni del demanio  idrico  e  marittimo,  nonche'  di
funzioni in materia di  risorse  idriche  e  di  difesa  del  suolo);
infine, quanto al demanio idrico, in virtu' dell'art.  2  del  citato
decreto legislativo n. 265 del  2001,  [...]  nella  comune  opinione
delle stesse parti in giudizio, intersecano anche competenze primarie
ascritte alla  regione  resistente  in  ragione  di  quanto  previsto
dall'art. 4, n. 10), dello statuto (in materia di turismo e industria
alberghiera),  espressamente  richiamato  dall'art.  1  della   legge
impugnata. Non  sono  poi  estranee  anche  alla  competenza,  sempre
primaria, prevista in materia  di  commercio  (art.  4,  n.  6  dello
statuto), peraltro richiamata dallo stesso ricorrente». 
    Quanto all'art. 2  della  legge  regionale  n.  8  del  2020,  il
relativo ricorso e' pendente innanzi codesta ecc.ma Corte (R. ric. n.
61 del 2020). 
    2.5. Come emerge  dal  quadro  normativo  ora  esposto,  e'  bene
segnalare gia' in via  preliminare  come  non  sia  applicabile  alle
disposizioni impugnate la nota giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte
in materia di concorrenza, la  quale  espressamente  afferma  che  la
competenza primaria regionale puo' «cedere il passo  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza  soltanto
quando  "l'oggetto  della  regolazione  finisca  per  influire  sulle
modalita' di  scelta  del  contraente,  ove  si  incida  sull'assetto
concorrenziale dei mercati in termini tali da restringere  il  libero
esplicarsi delle iniziative imprenditoriali"  (sentenza  n.  221  del
2018)» (sentenza n. 161 del 2020). 
    Nel caso di specie,  com'e'  evidente,  l'intervento  legislativo
statale manca radicalmente dei  requisiti  necessari  a  qualificarlo
quale misura a tutela dell'assetto  concorrenziale  del  mercato:  le
norme impugnate, infatti, non incidono in alcun modo sulle «modalita'
di  scelta  del  contraente»,  ne'  sui  principi  di   «trasparenza,
pubblicita' e imparzialita'». 
    Con esse, pertanto, - come, si confida, si dimostrera' - lo Stato
ha  invaso  le  competenze  statutarie  della  regione  senza   poter
pretendere di aver inteso agire nell'esercizio di una sua  competenza
esclusiva.  L'incostituzionalita'   delle   disposizioni   impugnate,
pertanto, risulta sia «in positivo» che «in negativo». 
    3. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  100,  comma  1,  del
decreto-legge n. 104 del 2020. 
    Violazione degli articoli 117, commi 3 e 4. Violazione  dell'art.
4  dello  statuto  speciale  della  Regione   Friuli-Venezia   Giulia
approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1,  anche  in
riferimento al decreto del Presidente della  Repubblica  n.  469  del
1987, al decreto legislativo n. 265 del 2001 e al decreto legislativo
n. 111 del 2004. 
    3.1. Il comma 1 dell'art. 100 stabilisce che «Le disposizioni  di
cui all'art. 1, commi 682 e 683, della legge  30  dicembre  2018,  n.
145, si applicano anche alle  concessioni  lacuali  e  fluviali,  ivi
comprese quelle gestite dalle societa' sportive iscritte al  registro
Coni di cui al decreto legislativo 23 luglio 1999,  n.  242,  nonche'
alle concessioni per la realizzazione  e  la  gestione  di  strutture
dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d'ormeggio, nonche'
ai  rapporti   aventi   ad   oggetto   la   gestione   di   strutture
turistico-ricreative in aree  ricadenti  nel  demanio  marittimo  per
effetto di provvedimenti successivi all'inizio dell'utilizzazione». 
    Il richiamato art. 1 della legge n.  145  del  2018  dispone,  al
comma 682, che «Le concessioni disciplinate dal comma 1  dell'art.  1
del  decreto-legge  5  ottobre  1993,   n.   400,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data
di entrata in vigore della  presente  legge  hanno  una  durata,  con
decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente  legge,  di
anni quindici. Al  termine  del  predetto  periodo,  le  disposizioni
adottate con il  decreto  di  cui  al  comma  677,  rappresentano  lo
strumento per individuare le migliori procedure da adottare per  ogni
singola gestione del bene demaniale» e, al comma 683, che «Al fine di
garantire la tutela e la custodia delle coste  italiane  affidate  in
concessione, quali  risorse  turistiche  fondamentali  del  Paese,  e
tutelare l'occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi  per
i danni subiti dai cambiamenti climatici  e  dai  conseguenti  eventi
calamitosi straordinari, le concessioni di cui al comma 682,  vigenti
alla data di entrata in vigore del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.
194 (269), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  26  febbraio
2010, n. 25, nonche' quelle rilasciate successivamente a tale data  a
seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al  31
dicembre 2009 e per le quali il rilascio  e'  avvenuto  nel  rispetto
dell'art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 15  febbraio
1952, n. 328, o il rinnovo e' avvenuto nel rispetto dell'art.  2  del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, hanno una durata, con decorrenza
dalla data di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,  di  anni
quindici. Al termine del predetto periodo, le  disposizioni  adottate
con il decreto di cui al comma 677  rappresentano  lo  strumento  per
individuare le  migliori  procedure  da  adottare  per  ogni  singola
gestione del bene demaniale». 
    In sintesi, si  dispone  l'applicazione  del  termine  di  durata
quindicennale: 
        i) alle concessioni lacuali e fluviali, ivi  comprese  quelle
gestite dalle societa' sportive iscritte al CONI; 
        ii) alle concessioni per la realizzazione e  la  gestione  di
strutture dedicate alla nautica da diporto nonche' ai rapporti aventi
a oggetto la  gestione  di  strutture  turistico-ricreative  in  aree
ricadenti nel demanio marittimo. 
    3.2. Quanto alle concessioni lacuali e fluviali, la  disposizione
in parola e' illegittima perche' lede le competenze statutarie  della
regione intervenendo sulla durata delle concessioni di beni demaniali
in titolarita' della regione. 
    Come abbiamo gia' visto, invero, i beni del demanio  idrico  sono
di titolarita' della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  in  forza  di
quanto disposto dall'art. 1, comma  1,  del  decreto  legislativo  25
maggio 2001, n. 265, gia' riportato (par. 2.2). 
    Il tenore ampio della locuzione «tutte le attribuzioni» di cui al
successivo comma 3 del medesimo articolo fa  si'  che  debba  esservi
ricompreso anche il  potere  di  determinare  la  misura  dei  canoni
relativi alle concessioni dei beni demaniali situati  nella  porzione
di territorio di riferimento. E' la stessa norma di attuazione  dello
statuto,  dunque,  che  assegna  alla   regione   la   competenza   a
disciplinare anche la durata delle concessioni ricadenti  nelle  aree
delle quali e' stata trasferita la titolarita'. 
    A cio' si aggiunga che vi e'  una  corrispondenza  biunivoca  tra
potesta' legislativa esclusiva e titolarita' del bene, come affermato
anche da codesta ecc.ma Corte costituzionale (da ultimo  sentenza  n.
94 del 2019). 
    3.3. Con riferimento alle concessioni per la realizzazione  e  la
gestione di strutture dedicate alla nautica  da  diporto  nonche'  ai
rapporti   aventi   a    oggetto    la    gestione    di    strutture
turistico-ricreative in aree ricadenti nel  demanio  marittimo,  deve
farsi una distinzione. 
    3.3.1. Quanto alle concessioni  di  beni  del  demanio  marittimo
situati nella laguna di Marano-Grado valgono le medesime osservazioni
appena  proposte  (par.  3.2).  L'art.  1,  comma  2,   del   decreto
legislativo n. 265 del 2001, infatti, ha stabilito  che  i  beni  del
demanio marittimo ivi  situati  sono  di  titolarita'  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia. 
    Anche in questo caso, dunque, la legge  statale  illegittimamente
pretende di disciplinare concessioni ricadenti nel demanio regionale. 
    3.3.2. Quanto alle concessioni  di  beni  del  demanio  marittimo
statale, valga quanto segue. 
    3.3.2.1. Anzitutto, la legge statale impugnata disciplina  alcune
particolari tipologie di concessioni: 
        i) quelle «per la realizzazione e la  gestione  di  strutture
dedicate alla nautica da diporto»; 
        ii) quelle  «aventi  ad  oggetto  la  gestione  di  strutture
turistico-ricreative». 
    Ebbene: entrambe le materie rientrano certamente nella competenza
della Regione FVG. 
    Come abbiamo gia'  visto  (par.  2.1),  invero,  l'art.  4  dello
statuto speciale di autonomia (legge costituzionale n. 3  del  1963),
che elenca le materie di competenza  regionale  primaria,  stabilisce
che «la regione ha potesta' legislativa nelle seguenti materie: [...] 
        2) [...] ittica [...]; 
        3) [...] pesca; [...]; 
        10) turismo [...]». 
    L'art. 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 15
gennaio 1987, n. 469, gia' riportato supra (par.  2.1),  dispone  che
«La definizione delle funzioni  amministrative,  come  enunciata  nel
decreto del Presidente della Repubblica n. 616 per  ciascuna  materia
in  esso  considerata,  si  intende  riferita  anche  alle   funzioni
amministrative riguardanti le corrispondenti materie  elencate  negli
articoli 4 e 5 dello statuto speciale». 
    Trattandosi di materia assegnata  alla  legge  regionale  in  via
esclusiva, la legge statale non poteva  disciplinarla  in  violazione
dello statuto FVG e delle sue norme di attuazione. 
    A cio' si aggiunga  che  la  Regione  FVG  ha  gia'  disciplinato
proprio questo  ambito  materiale.  Come  abbiamo  gia'  visto  (par.
2.4.4), infatti, l'art. 2 della legge regionale  n.  8  del  2020  ha
stabilito il rinnovo su domanda, tra l'altro, delle concessioni  «con
finalita' turistico-ricreativa e sportiva, diportistica  e  attivita'
cantieristiche connesse». 
    3.3.2.2.  A  cio'  si  aggiunga  che   ancora   recentemente   la
giurisprudenza costituzionale ha ribadito che «Secondo il consolidato
orientamento di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 86  del  2019,
n. 118 del 2018, n. 157  del  2017),  la  disciplina  concernente  il
rilascio di concessioni su beni demaniali marittimi  investe  diversi
ambiti  materiali,  attribuiti  alla  competenza  sia  statale,   sia
regionale» (sentenza n. 161  del  2020).  Codesta  ecc.ma  Corte  pur
avendo «costantemente affermato che  i  criteri  e  le  modalita'  di
affidamento delle concessioni sui beni del demanio marittimo  devono,
comunque, essere stabiliti nel rispetto  dei  principi  della  libera
concorrenza e della liberta' di stabilimento previsti dalla normativa
dell'Unione europea e nazionale, e corrispondenti ad ambiti riservati
alla competenza  esclusiva  statale  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera e) della Costituzione (sentenze n. 118 e n. 109 del 2018,  n.
157 e n. 40 del 2017, n. 171 del 2013 e n. 213 del 2011); in siffatta
competenza esclusiva, le pur concorrenti competenze regionali trovano
cosi' "un limite insuperabile" (fra le altre,  sentenza  n.  109  del
2018)», ha precisato, come gia' si e'  anticipato  in  premessa,  che
«Detto limite tuttavia non e' destinato ad operare  con  assolutezza:
il riferimento alla tutela della concorrenza non puo' ritenersi cosi'
pervasivo da impedire  alle  regioni,  in  materia,  ogni  spazio  di
intervento espressivo  di  una  correlata  competenza;  tale  ultima,
infatti, e' destinata a cedere il passo alla  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato  in  materia  di  concorrenza  soltanto  quando
"l'oggetto della regolazione finisca per influire sulle modalita'  di
scelta del contraente, ove si incida sull'assetto concorrenziale  dei
mercati in termini tali da restringere  il  libero  esplicarsi  delle
iniziative imprenditoriali" (sentenza n. 221 del 2018)». 
    E' evidente che nel caso de quo, la riserva  di  competenza  allo
Stato non puo' operare, non venendo in considerazione le modalita' di
scelta di un contraente. Conseguentemente, la materia gia' «occupata»
dalla legge regionale n. 8 del 2020, non  poteva  essere  impunemente
attratta nella sfera competenziale statale, in  violazione  dei  gia'
invocati parametri, che confidano alla regione la materia de qua. 
    4. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  100,  comma  2,  del
decreto-legge n. 104 del 2020. 
    Violazione degli articoli 3, 81, 117, commi 3 e 4,  e  119  della
Costituzione. Violazione degli articoli 4 e 48 dello Statuto speciale
della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   approvato    con    legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, anche in riferimento al decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.  469  del  1987,  al   decreto
legislativo n. 265 del 2001 e al decreto legislativo n. 111 del 2004. 
    Il comma 2 dell'art.  100  del  decreto-legge  n.  104  del  2020
stabilisce che «All'art. 3 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n.  400,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993,  n.  494,
con effetto dal 1° gennaio 2021 il comma 1, lettera b), punto 2.1) e'
sostituito  dal  seguente:  "2.1)  per  le  pertinenze  destinate  ad
attivita' commerciali, terziario-direzionali e di produzione di  beni
e servizi, il canone e' determinato ai sensi del punto  1.3)".  Fermo
restando quanto previsto al successivo comma 4, sono  comunque  fatti
salvi i pagamenti gia' eseguiti alla data di entrata in vigore  delle
presenti disposizioni». 
    In sintesi, intervenendo sul previgente  testo  dell'art.  3  del
decreto-legge n. 400 del 1993, il comma 2  sostituisce,  con  effetto
dal 1° gennaio 2021, il criterio di  quantificazione  dei  canoni  di
concessioni di beni del demanio marittimo per pertinenze destinate ad
attivita' commerciali, terziario-direzionali e di produzione di  beni
e servizi, applicando il criterio tabellare gia'  utilizzato  per  le
opere di difficile rimozione. 
    4.1. Anzitutto, la suddetta previsione si pone in  contrasto  con
l'art.  4  dello  statuto  regionale  e  con  le  relative  norme  di
attuazione, in  particolare  con  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 469 del 1987 (v. par. 2.1). 
    Come si e' visto (par. 2.1), l'art. 4  dello  statuto  stabilisce
che la Regione  FVG  ha  potesta'  legislativa,  tra  l'altro,  nelle
seguenti materie: 
        industria e commercio; 
        turismo e industria alberghiera; 
        istituzioni ricreative e sportive. 
    Ebbene: e' evidente che le tipologie di  concessioni  di  cui  al
comma  2  dell'articolo  impugnato  rientrano  senza   dubbio   nella
competenza legislativa esclusiva della regione ricorrente. 
    Ne' possono richiamarsi competenze esclusive o trasversali  dello
Stato che possano giustificare la disciplina statale  a  danno  delle
competenze regionali. Valgono a tal proposito le  affermazioni  della
sentenza n. 161 del 2020  di  codesta  ecc.ma  Corte  e  le  relative
osservazioni gia' svolte in premessa e al par. 3.3.2.2. 
    Anche in questo caso, da un lato, vi e' la «correlata competenza»
stabilita  espressamente  dallo  statuto   di   speciale   autonomia;
dall'altro, la  legge  impugnata  non  incide  in  alcun  modo  sulle
«modalita'  di  scelta  del  contraente»,   ne'   sui   principi   di
«trasparenza, pubblicita' e imparzialita'». 
    Come e' agevole constatare, l'intervento statale, che aveva  come
obiettivo  quello  di  agevolare  economicamente  i  cittadini  e  le
imprese,  anche  in  considerazione  degli  effetti  negativi   della
pandemia,  non  ha  alcuna  finalita'  pro-concorrenziale,   ne'   e'
riconducibile all'esercizio di altre competenze statali, esclusive  o
non. 
    4.2. In secondo luogo, come si e' gia' visto (par. 2.3) l'art. 9,
comma 5, del decreto legislativo n.  111  del  2004  dispone  che  «I
proventi e le spese derivanti dalla gestione del demanio marittimo  e
della navigazione interna, per la parte non gia'  trasferita  con  il
decreto legislativo 25 maggio 2001, n.  265,  nonche'  dall'esercizio
delle funzioni in materia di motorizzazione e circolazione su strada,
spettano alla regione dalla data  di  decorrenza  dell'efficacia  del
presente decreto». 
    Tale previsione da' attuazione, da un lato,  all'art.  119  della
Costituzione,  a  tenor  del  quale  le  regioni   «hanno   autonomia
finanziaria di entrata e di spesa», e, dall'altro, all'art. 48  dello
statuto speciale, il quale dispone che «La  regione  ha  una  propria
finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi
della solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti  dagli  articoli
seguenti». 
    Ne' puo' dimenticarsi che l'art. 81 della Costituzione, imponendo
il principio dell'equilibrio del bilancio, non consente allo Stato di
alterare quello regionale a  proprio  capriccio,  in  difetto  d'ogni
ragionevole  considerazione  delle  necessita'   connesse   a   detto
equilibrio  (con  conseguente  violazione  anche  dell'art.  3  della
Costituzione). 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia, dunque, riscuote in via diretta
i canoni annui per le concessioni dei beni del  demanio  marittimo  e
provvede  a  iscriverli  come  «entrate»  a  bilancio,  senza  alcuna
intermediazione  dello  Stato.  I  canoni  concessori   confluiscono,
pertanto, in via immediata nella finanza regionale, la cui  autonomia
e' garantita dagli articoli 81 e 119, comma 1  della  Costituzione  e
dall'art. 48 dello statuto. 
    Il legislatore  delle  norme  di  attuazione  ha  voluto,  cosi',
distinguere la  posizione  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  da
quella delle regioni ordinarie. L'art. 6, comma 2, del  decreto-legge
n. 400 del 1993, dispone, infatti, in via generale, che «alle regioni
e' devoluto l'eventuale maggior gettito derivante  dalla  riscossione
dei canoni di cui all'art. 4 rispetto  a  quello  gia'  previsto  nel
bilancio pluriennale dello  Stato».  Le  regioni  ordinarie,  dunque,
ricevono dallo Stato i proventi derivanti dalla gestione del  demanio
marittimo e non li riscuotono in via diretta. L'esatto opposto accade
per la Regione FVG. 
    L'intervento statale priva  unilateralmente  la  Regione  FVG  di
entrate  che  le  spettano  in  virtu'  della   disciplina   speciale
(statutaria e di attuazione) appena ricordata. In  particolare,  come
abbiamo gia' segnalato, l'intervento statale ha come obiettivo quello
di agevolare economicamente  i  cittadini  e  le  imprese,  anche  in
considerazione degli effetti negativi  della  pandemia.  Cio'  e'  in
astratto legittimo, ma, nel caso de quo, lo Stato e'  intervenuto  in
via emergenziale utilizzando risorse delle quali non poteva disporre,
in quanto pacificamente rientranti  nell'ambito  competenziale  della
regione e destinate in via diretta al bilancio regionale. 
    Con le disposizioni  impugnate  il  legislatore  ha  ritenuto  di
estendere alle regioni ad autonomia speciale (tra le quali  l'odierna
deducente) i canoni concessori gia' previsti  per  le  altre  regioni
dalla disciplina generale, sottraendo loro quell'ambito di  autonomia
speciale che e' stato sempre riconosciuto. 
    Tanto, pero', contrasta con i parametri sopra indicati, che -  si
ripete - assegnano alla regione le determinazioni qui contestate. Del
resto, la regione ha gia' esercitato  le  proprie  attribuzioni,  con
l'art. 13-quater della legge regionale n. 22 del 2006,  a  tenor  del
quale «Le concessioni e le autorizzazioni relative  all'utilizzo  dei
beni del demanio marittimo statale di cui all'art.  1  sono  soggette
all'applicazione di un canone determinato con legge regionale, i  cui
valori vengono aggiornati annualmente, in base all'indice ISTAT,  sia
in aumento che in  diminuzione,  con  decreto  del  Presidente  della
regione, previa deliberazione della giunta regionale». 
    La regione, dunque, ha gia' disciplinato la  materia  nell'ambito
della  propria  competenza  e  la  disciplina  statale  impugnata  ha
doppiamente leso gli interessi della  ricorrente,  invadendo  la  sua
sfera di attribuzioni e pretendendo di  sostituirsi  alla  disciplina
ch'essa aveva legittimamente adottato. 
    4.3. In subordine, nella denegata ipotesi in cui  l'ecc.ma  Corte
ritenesse che la determinazione del canone concessorio in materia  di
beni del demanio marittimo  per  pertinenze  destinate  ad  attivita'
commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e  servizi
sia connessa alla titolarita'  del  bene,  tale  competenza  dovrebbe
spettare alla regione quanto meno in relazione ai  beni  del  demanio
marittimo di sua titolarita', vale a  dire  a  quelli  situati  nella
laguna di Grado-Marano. 
    Come si e' gia' piu' volte osservato  (par.  2.2.  e  3.3.1),  il
decreto legislativo n. 265 del 2001 ha  chiaramente  trasferito  alla
Regione FVG la  titolarita'  del  demanio  marittimo  della  suddetta
laguna. La regione, dunque, per le ragioni gia' indicate al par. 3.2,
cui si rimanda, e' titolare  di  tutte  le  competenze  che  a  detta
titolarita' sono connesse. 
    5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 100, commi 3, 4  e  5,
del decreto-legge n. 104 del 2020. 
    Violazione degli articoli 3, 81, 117, commi 3 e 4,  e  119  della
Costituzione. Violazione degli articoli 4 e 48 dello statuto speciale
della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   approvato    con    legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, anche in riferimento al decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.  469  del  1987,  al   decreto
legislativo n. 265 del 2001 e al decreto legislativo n. 111 del 2004.
Violazione del principio di  affidamento  di  cui  all'art.  3  della
Costituzione. 
    L'art. 100 del decreto-legge n. 104 del 2020 stabilisce, ai commi
3, 4 e 5, quanto segue: 
        «Alle concessioni dei beni del demanio marittimo  e  di  zone
del mare  territoriale  aventi  ad  oggetto  la  realizzazione  e  la
gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto si  applicano,
con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2007, le misure dei canoni  di
cui al comma 1, lettera b), dell'art. 3 del decreto-legge  5  ottobre
1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4  dicembre
1993, n. 494, come modificato dal comma 2 del presente articolo,  con
riferimento alle caratteristiche dei  beni  oggetto  di  concessione,
quali  erano  all'avvio  del  rapporto  concessorio,  nonche'   delle
modifiche   successivamente    intervenute    a    cura    e    spese
dell'amministrazione concedente.  Le  somme  per  canoni  relative  a
concessioni demaniali marittime di cui al primo periodo,  versate  in
eccedenza rispetto a quelle dovute a decorrere dal 1°  gennaio  2007,
sono compensate - a decorrere dal 2021 - con quelle da  versare  allo
stesso titolo, in base alla medesima disposizione,  in  rate  annuali
costanti per la residua durata della concessione.  Gli  enti  gestori
provvedono al ricalcolo delle  somme  dovute  dai  concessionari  con
applicazione dei citati criteri  dal  1°  gennaio  2007  fino  al  31
dicembre 2019, effettuando i  relativi  conguagli,  con  applicazione
delle modalita' di compensazione di cui al  secondo  periodo»  (comma
3); 
        «Dal 1° gennaio 2021 l'importo annuo del canone dovuto  quale
corrispettivo  dell'utilizzazione  di  aree  e  pertinenze  demaniali
marittime  con  qualunque  finalita'  non  puo',   comunque,   essere
inferiore a euro 2.500» (comma 4); 
        «Nelle more della revisione e dell'aggiornamento  dei  canoni
demaniali marittimi ai sensi dell'art. 1, comma 677, lettera e) della
legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono sospesi fino al 15 dicembre 2020
i procedimenti amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore
dal presente decreto e sono inefficaci i relativi provvedimenti  gia'
adottati oggetto di contenzioso, inerenti al  pagamento  dei  canoni,
compresi i procedimenti e i provvedimenti  di  riscossione  coattiva,
nonche' di sospensione, revoca  o  decadenza  della  concessione  per
mancato versamento del canone, concernenti: 
          a)  le  concessioni  demaniali  marittime   per   finalita'
turistico-ricreative, con esclusivo  riferimento  a  quelle  inerenti
alla conduzione delle pertinenze demaniali, laddove i procedimenti  o
i provvedimenti siano connessi all'applicazione dei  criteri  per  il
calcolo dei canoni di cui all'art. 3, comma 1,  del  decreto-legge  5
ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  4
dicembre 1993, n. 494, ivi compresi i procedimenti di cui all'art. 1,
comma 484, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; 
          b) le concessioni demaniali marittime per la  realizzazione
e la gestione di strutture dedicate alla nautica da  diporto»  (comma
5). 
    In estrema sintesi, i richiamati commi da 3 a 5 dell'art. 100: 
        i) sono intervenuti sulle concessioni dei  beni  del  demanio
marittimo e di  zone  del  mare  territoriale  aventi  a  oggetto  la
realizzazione e la gestione di strutture destinate  alla  nautica  da
diporto; 
        ii) hanno imposto che a tali concessioni si  applichino  «con
effetto a decorrere dal 1° gennaio 2007» - dunque retroattivamente -,
le misure dei canoni di cui al comma 1, lettera b), dell'art.  3  del
decreto-legge n. 400 del 1993; 
        iii) per le somme pagate tra il 2007 e il 2020  in  eccedenza
rispetto alla misura prevista dall'art. 3 del  decreto-legge  n.  400
del 1993, hanno disposto ch'esse «sono compensate - a  decorrere  dal
2021 - con quelle  da  versare  allo  stesso  titolo,  in  base  alla
medesima disposizione, in rate annuali costanti per la residua durata
della concessione»; 
        iv) hanno stabilito il canone minimo per  l'utilizzazione  di
aree  e  pertinenze  demaniali  marittime  con  qualunque   finalita'
(quantificato in euro 2.500,00); 
        v) da ultimo, sono intervenuti sui procedimenti di  pagamento
dei suddetti canoni. 
    5.1. Le suddette previsioni, in quanto  rideterminano  il  canone
delle  concessioni  relative  alla  nautica  da   diporto   e   fanno
riferimento anche alle concessioni demaniali marittime per  finalita'
turistico-ricreative, si pongono tutte  in  contrasto  con  l'art.  4
dello statuto regionale e con le relative norme di attuazione. 
    Come si e' detto (par. 2.1.), l'art. 4 dello  statuto  stabilisce
che la regione ha potesta' legislativa nelle seguenti materie: 
        ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti  dipendenti  dalla
regione; 
        pesca; 
        commercio; 
        turismo e industria alberghiera; 
        istituzioni ricreative e sportive. 
    Anche in questo caso  vengono  poi  in  rilievo  il  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 469 del 1987,  l'art.  1  del  decreto
legislativo n. 265 del 2001 e il decreto legislativo n. 111 del 2004,
gia' richiamati supra. 
    5.2. Ebbene, la nautica da diporto  e  le  concessioni  demaniali
marittime per finalita' turistico-ricreative costituiscono  attivita'
che  ricadono  nell'ambito  delle  competenze  esclusive   regionali,
sicche' l'intervento legislativo statale e' certamente illegittimo. 
    Cio' viene reso di per se' evidente  -  se  non  gia'  dal  senso
comune - dalla definizione legislativa della navigazione da  diporto,
data dall'art. 1, comma  2,  del  codice  della  nautica  da  diporto
(decreto legislativo n. 171 del 2005): «si intende per navigazione da
diporto quella effettuata in  acque  marittime  ed  interne  a  scopi
sportivi  o  ricreativi  e  senza  fini  di  lucro,  nonche'   quella
esercitata a scopi commerciali». 
    Si  comprende   come   tale   attivita'   sia   inestricabilmente
intrecciata con l'offerta turistica (com'e' noto, il turismo  nautico
e' un'importante risorsa per le localita' costiere),  con  le  scelte
imprenditoriali delle industrie alberghiere, con la pesca  ricreativa
da unita'  da  diporto,  nonche'  con  l'offerta  delle  associazioni
sportive e ricreative. 
    Tali  attivita'  sono  talmente  significative  per  lo  sviluppo
economico  della  regione  che,  in  considerazione  della   pacifica
competenza legislativa esclusiva regionale,  e'  stata  approvata  la
legge regionale n. 22 del  2006  (v.  supra,  par.  2.4.2.),  recante
«Norme   in   materia   di   demanio    marittimo    con    finalita'
turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale  n.  16/2002  in
materia di difesa del suolo e di demanio idrico». Ivi,  come  abbiamo
gia' visto, all'art. 1, comma 1, si stabilisce che «La presente legge
disciplina l'esercizio delle funzioni amministrative  in  materia  di
beni   appartenenti   al   demanio   marittimo    avente    finalita'
turistico-ricreativa, diporto nautico, cantieristica  e  usi  diversi
rispetto a quelli precedenti, trasferite  dallo  Stato  alla  Regione
Friuli-Venezia Giulia in attuazione del decreto del Presidente  della
Repubblica 15 gennaio 1987, n. 469 (Norme integrative  di  attuazione
dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia  Giulia),  e  del
decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello
statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia  concernenti  il
trasferimento di funzioni in materia di viabilita' e trasporti)». 
    La diretta correlazione delle  materie  qui  in  discussione  con
quelle che lo statuto  speciale  assegna  alla  competenza  esclusiva
regionale  e'  stata  affermata  anche  da   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale nella gia' richiamata sentenza n.  109  del  2018  (si
rinvia ai passi riportati al par. 2.4.5.). 
    Inoltre, poiche', ai sensi del decreto  legislativo  n.  111  del
2004, in attuazione di quanto previsto dallo statuto,  spettano  alla
regione tutte  le  funzioni  amministrative  relative  alle  suddette
concessioni, nonche' tutti i proventi e le spese da queste derivanti,
esse  ricadono  altresi'  nell'ambito   di   competenza   legislativa
statutaria della regione in materia di «ordinamento  degli  uffici  e
degli enti dipendenti dalla regione». Tanto, anche in  considerazione
del fatto che il  comma  5  incide  nei  procedimenti  amministrativi
pendenti alla data di entrata in vigore dal decreto-legge, disponendo
l'inefficacia dei provvedimenti gia' adottati oggetto di contenzioso. 
    5.3. I commi 3-5 dell'art. 100 del decreto-legge n. 104 del  2020
sono illegittimi anche per un altro profilo. 
    Analogamente a quanto si e' detto con  riferimento  al  comma  2,
infatti, essi violano  l'autonomia  economico-finanziaria  regionale,
presidiata dalle norme costituzionali, statutarie e di attuazione. 
    Anche  tale  disposizione,  infatti,  priva  unilateralmente   la
Regione FVG di entrate che le spettano  in  virtu'  della  disciplina
speciale (statutaria e di attuazione) - oltretutto  retroattivamente,
come si dira' infra - ponendosi in contrasto con gli  articoli  81  e
119 della Costituzione, 48 dello statuto e 9, comma  5,  del  decreto
legislativo n. 111 del 2004. 
    Pel resto, per non tediare l'ecc.ma Corte,  si  rinvia  a  quanto
gia' detto supra (par. 4.2) e  alle  considerazioni  li'  svolte  per
dimostrare l'illegittimita' costituzionale della  legge  statale  qui
impugnata. 
    5.3.1. In questo caso, peraltro,  la  violazione  deve  ritenersi
ancora piu' grave in quanto la norma spiega irragionevolmente effetto
sui canoni concessori gia' riscossi dunque su entrate gia' iscritte a
bilancio e gia' rese oggetto di programmi di investimento,  incidendo
cosi' non solo nell'autonomia decisionale di entrata  della  regione,
ma anche su quella di spesa. La regione, infatti, ha gia'  utilizzato
i proventi riscossi negli anni precedenti,  che  dovrebbe,  pertanto,
recuperare sottraendo risorse ad altri capitoli di bilancio. Si lede,
cosi', la liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi  ambiti
e obiettivi di spesa. 
    5.4. Per le medesime ragioni  risulta  violato  il  principio  di
equilibrio di bilancio ex art. 81 della Costituzione  (anche  qui  in
raccordo con le previsioni statutarie e  delle  norme  di  attuazione
sopra  indicate,  dalle  quali  deriva  la  competenza  regionale  in
materia, nonche' con l'art. 48 dello statuto, che  fonda  l'autonomia
finanziaria regionale). Giusta la giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma
Corte  costituzionale,  infatti,  il  principio  di  equilibrio   del
bilancio dello Stato e degli enti territoriali si declina anche  come
principio di veridicita' dei bilanci pubblici. In questa prospettiva,
infatti, e' violativa dell'art. 81 della Costituzione la disposizione
di  legge  che  determina  una   «infedele   rappresentazione   delle
risultanze economiche e patrimoniali» dell'ente, tale da pregiudicare
«in modo durevole l'equilibrio del bilancio [...]  considerato  nella
sua  prospettiva  dinamica»  (sentenza  n.  89  del  2017).  L'errata
rappresentazione del dato economico-finanziario, infatti, «provoca un
effetto  "domino"  nei  sopravvenienti   esercizi»,   sicche'   «ogni
determinazione infedele del risultato di amministrazione si riverbera
a cascata sugli esercizi successivi» (cosi' ancora la sentenza n.  89
del 2017; in termini analoghi la sentenza n. 49 del 2018). 
    La retroattiva determinazione dei canoni di  concessione  produce
proprio tale  effetto:  i  precedenti  documenti  di  bilancio  della
regione  sono  diventati  infedeli  a   causa   dell'intervento   del
legislatore   statale,   che   ha   cagionato   minori   entrate   da
contabilizzare «ora per allora». 
    Ne' puo' dirsi che tale effetto venga neutralizzato attraverso il
meccanismo del conguaglio  rispetto  agli  oneri  concessori  per  le
annualita' a venire, anche alla  luce  del  fatto  che,  in  caso  di
inadempimento, insolvenza o  anche  solo  cessazione  anticipata  del
rapporto  concessorio,  il  meccanismo   di   conguaglio   resterebbe
inoperativo, con la conseguenza che la  minore  entrata  non  sarebbe
piu' appianabile pro futuro. 
    Va, peraltro, ricordato che codesta ecc.ma  Corte  costituzionale
ha piu' volte dichiarato illegittime le previsioni che  ribaltano  il
proprio costo sugli esercizi futuri di bilancio, affermando che  tali
sistemi  di  copertura  delle  spese  sono  violativi  del  principio
dell'art. 81,  comma  3,  della  Costituzione  (sul  principio  della
«autosufficienza» della legge  di  spesa  e  sull'illegittimita'  del
rinvio  ad  altri  atti  normativi,  anche  legislativi,  cfr.  Corte
costituzionale, sentenze n. 51 e n. 26 del 2013 e n. 192 del 2012). 
    Ebbene: nel caso di specie il  legislatore  statale  ha  previsto
proprio il descritto meccanismo  di  ripiano  attraverso  le  entrate
(peraltro incerte) degli  esercizi  futuri,  con  cio'  determinando,
anche per questo profilo, la violazione del principio  di  equilibrio
di bilancio ex art. 81 della Costituzione, in una con l'art. 3  della
Costituzione    pel    profilo    della    palese    irragionevolezza
dell'intervento,  totalmente  incurante  delle  conseguenze  che   ne
sarebbero derivate. 
    5.4.1. Tanto  comporta  anche  la  violazione  del  principio  di
affidamento di cui all'art. 3 della Costituzione, letto in  combinato
disposto  con  l'art.  81  della  Costituzione  e  con  le   riferite
previsioni statutarie e delle  norme  di  attuazione  che  presiedono
l'autonomia della regione. 
    La disciplina statale, in quanto incide su somme  gia'  acquisite
al  bilancio  ed  entrate  nella  disponibilita'  della  regione,  ha
un'evidente portata retroattiva, giacche' pretende di applicarsi alle
situazioni in essere  che  sono  pero'  frutto  di  fatti  generatori
passati (trattasi di un'ipotesi di c.d. «retroattivita' impropria»). 
    In tal modo la norma determina un'irragionevole alterazione della
programmazione gia' compiuta, cagionando  la  lesione  del  legittimo
affidamento  della  regione,   che   si   vede   cosi'   pregiudicata
nell'allocazione delle risorse in materie di  sua  competenza,  quali
l'organizzazione degli uffici regionali, il  turismo,  il  commercio,
l'industria  alberghiera,  la  pesca,  le  istituzioni   sportive   e
ricreative (art. 4 dello statuto), nonche'  nella  gestione  del  suo
patrimonio finanziario (articoli 119 della Costituzione  e  48  dello
statuto). 
    Giova in proposito ricordare l'arresto  con  cui  codesta  ecc.ma
Corte, con una decisione interpretativa  di  rigetto,  dichiaro'  non
fondate le questioni sollevate dalla Regione Veneto  in  relazione  a
tali parametri e su una norma analoga  alla  presente,  solamente  in
quanto «il tenore  letterale  delle  disposizioni  che  concorrono  a
delimitare il quadro normativo e  la  specificita'  della  misura  in
esame giustificano ed impongono un'interpretazione diversa da  quella
prospettata dalla difesa regionale e  coerente  con  le  esigenze  di
tutela dell'affidamento e dell'autonomia  regionale.  [...]  L'ambito
applicativo della disposizione censurata va, dunque, delimitato  alle
sole risorse non impegnate, delle  quali  viene  disposta  una  nuova
programmazione per il  conseguimento  degli  obiettivi  di  rilevanza
nazionale; obiettivi che, nel  caso  in  esame,  sono  costituiti  da
esigenze di contenimento della spesa pubblica» (sentenza n.  117  del
2016). 
    Al contrario, nel caso di specie, l'espressa retroattivita' delle
norme impugnate preclude una qualsivoglia interpretazione conforme  a
Costituzione che salvaguardi il legittimo affidamento della  regione,
nonche' l'integrita' delle  sue  competenze  e  della  sua  autonomia
finanziaria.  Per  tale  ragione  gli  interessi   costituzionalmente
rilevanti  della  Regione  FVG  non  possono   essere   salvaguardati
altrimenti che con l'accoglimento della prospettata censura. 
    6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 100, commi 7, 8,  9  e
10, del decreto-legge n. 104 del 2020. Violazione degli  articoli  3,
81, 117, commi 3 e 4, e 119 della Costituzione. 
    Violazione degli articoli 4 e 48  dello  statuto  speciale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia approvato con legge  costituzionale  31
gennaio 1963, n. 1, anche in riferimento al  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 469 del 1987, al decreto legislativo n.  265  del
2001 e al decreto legislativo n. 111 del 2004. 
    Gli impugnati commi 7-10 dell'art. 100 del decreto-legge  n.  104
del 2020 dispongono quanto segue: 
        «Al fine di ridurre il contenzioso relativo alle  concessioni
demaniali marittime  per  finalita'  turistico-ricreative  e  per  la
realizzazione e la gestione di strutture  dedicate  alla  nautica  da
diporto, derivante dall'applicazione dei criteri per il  calcolo  dei
canoni ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b),  numero  2.1),  del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo vigente fino alla data
di entrata in vigore del presente decreto, i procedimenti  giudiziari
o amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto, concernenti il pagamento dei relativi canoni, possono essere
definiti, previa domanda all'ente gestore e all'Agenzia  del  demanio
da parte del concessionario, mediante versamento: 
          a) in un'unica soluzione, di un importo,  pari  al  30  per
cento delle somme  richieste  dedotte  le  somme  eventualmente  gia'
versate a tale titolo; 
          b) rateizzato fino a un massimo di sei  annualita',  di  un
importo pari al 60 per cento delle somme richieste dedotte  le  somme
eventualmente gia' versate a tale titolo» (comma 7); 
        «La domanda per accedere alla definizione di cui al  comma  7
e' presentata entro il 15 dicembre 2020 ed entro il 30 settembre 2021
sono versati l'intero importo dovuto, se in un'unica soluzione, o  la
prima rata, se rateizzato» (comma 8); 
        «La liquidazione e il pagamento nei termini  assegnati  degli
importi di cui alle lettere a) e b) del comma 7  costituisce  a  ogni
effetto  rideterminazione  dei  canoni  dovuti  per   le   annualita'
considerate» (comma 9); 
        «La presentazione della domanda nel termine di cui al comma 8
sospende i procedimenti giudiziari o amministrativi di cui  al  comma
7, compresi quelli di riscossione coattiva nonche' i procedimenti  di
decadenza della concessione demaniale marittima per mancato pagamento
del  canone.  La  definizione  dei  procedimenti   amministrativi   o
giudiziari si realizza con il pagamento dell'intero  importo  dovuto,
se in un'unica soluzione,  o  dell'ultima  rata,  se  rateizzato.  Il
mancato pagamento di una rata entro sessanta  giorni  dalla  relativa
scadenza comporta la decadenza dal beneficio» (comma 10). 
    In estrema sintesi, le richiamate  disposizioni  introducono  uno
strumento di definizione  agevolata  dei  procedimenti  giudiziari  e
amministrativi relativi  alle  concessioni  demaniali  marittime  per
finalita' turistico-ricreative e per la realizzazione e  gestione  di
strutture dedicate alla nautica da diporto, mediante versamento di un
importo ridotto, in un'unica soluzione o a rate. A tal proposito,  il
comma 10 dispone che  la  presentazione  della  domanda  nel  termine
indicato   sospende   i   relativi    procedimenti    giudiziari    o
amministrativi, compresi quelli di riscossione  coattiva,  nonche'  i
procedimenti di decadenza della concessione demaniale  marittima  per
mancato pagamento del canone. 
    Peraltro, il pagamento dell'importo ridotto stabilito dalla legge
(pari al 30% di quanto in origine dovuto) o  dell'ultima  rata  -  se
l'interessato ha optato per il pagamento dilazionato -  definisce  il
procedimento   giudiziario   o   amministrativo,   costituendo    una
rideterminazione del canone dovuto per le annualita' considerate. 
    Essi discendono dalle previsioni previste  dai  precedenti  commi
3-5, dei quali  sono  una  diretta  conseguenza.  Il  legislatore  ha
infatti voluto estendere l'ambito della rideterminazione  dei  canoni
concessori  anche  con  riferimento  ai  procedimenti  giudiziari   e
amministrativi in corso. 
    6.1. Anche in questo caso viene in rilevo la violazione del  piu'
volte richiamato art. 4 dello statuto, il  quale  stabilisce  che  la
regione ha potesta' legislativa nelle seguenti materie: 
        ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti  dipendenti  dalla
regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto: 
        pesca; 
        commercio; 
        turismo e industria alberghiera; 
        istituzioni ricreative e sportive. 
    E anche  in  questo  caso  vengono  in  rilievo  il  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 469 del 1987,  l'art.  1  del  decreto
legislativo n. 265 del 2001 e il decreto legislativo n. 111 del 2004,
gia' piu' volte richiamati supra. 
    Le materia per le quali la legge statale prevede  la  definizione
agevolata dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali  pendenti
sono   le   «concessioni   demaniali    marittime    per    finalita'
turistico-ricreative  e  per  la  realizzazione  e  la  gestione   di
strutture dedicate alla nautica da diporto». 
    Valgono, dunque, le osservazioni prospettate supra (parr.  5.1  e
5.2.), da intendersi qui richiamate per economia processuale. 
    6.2. Le disposizioni qui impugnate violano  altresi'  l'autonomia
economico-finanziaria regionale, presidiata da norme  costituzionali,
statutarie e di attuazione, in particolare  dagli  articoli  81,  119
della Costituzione e 48 dello statuto  e  9,  comma  5,  del  decreto
legislativo n. 111 del 2004, per le medesime ragioni di cui  al  par.
5.3., che s'intende qui richiamato. 
    Nel caso  di  specie,  peraltro,  vi  e'  un  doppio  profilo  di
illegittimita'. 
    Anzitutto la legge statale consente  di  chiudere  i  contenziosi
amministrativi o giurisdizionali pagando  un  importo  molto  ridotto
rispetto a quanto dovuto (il 30% se il pagamento avviene in  un'unica
soluzione; il 60% se rateizzato). 
    In secondo luogo, ai sensi del comma 9, si ridetermina il  canone
al ribasso, causando cosi' anche per il futuro  un  decremento  delle
entrate per la Regione FVG, con cio' violando il gia' richiamato art.
13-quater della legge n. 22 del 2006 che dispone che sia la regione a
fissare il canone di concessione. 
    In definitiva,  anche  le  disposizioni  qui  censurate  riducono
illegittimamente le entrate della regione, sia quelle gia' iscritte a
bilancio  che  quelle  future:  anche  in  questo  caso   si   incide
illegittimamente non solo sull'autonomia decisionale di entrata della
regione, ma anche su quella di spesa (valgono qui  le  argomentazioni
gia' proposte al par. 5.3, da intendersi letteralmente richiamato per
ragioni di economia processuale). 
    Peraltro, applicandosi ai procedimenti  «pendenti  alla  data  di
entrata in vigore del [...] decreto» le norme  impugnate  operano  in
via retroattiva, con riferimento a canoni  concessori  che  avrebbero
dovuto essere gia' pagati  dai  privati  e  riscossi  dalla  regione,
violando  il  suo   legittimo   affidamento   e   il   principio   di
ragionevolezza ad esso collegato (art. 3 della Costituzione), nonche'
condizionando le  scelte  finanziarie  e  legislative  regionali  (si
rinvia anche in questo caso a quanto osservato supra, al par. 5.3.1.,
anche qui per ragioni di economia processuale). 
    6.3. Con riferimento  ai  procedimenti  amministrativi,  poi,  le
disposizioni impugnate ledono l'autonomia organizzativa  regionale  e
le funzioni amministrative nelle materie  qui  in  discussione.  Come
ricordato in premessa, infatti, le norme di attuazione dello  statuto
speciale  della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   dispongono   il
trasferimento delle funzioni amministrative relative alle concessioni
dei beni del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale. 
    L'art. 9, comma 2, del  decreto  legislativo  n.  111  del  2004,
infatti, stabilisce che «Sono trasferite alla regione, in  base  agli
articoli 4, 5 e 8 dello statuto, tutte  le  funzioni  amministrative,
salvo quelle espressamente mantenute  allo  Stato  dall'art.  11,  in
materia di trasporto merci, motorizzazione e circolazione su  strada,
navigazione interna e porti regionali, comprese le funzioni  relative
alle concessioni dei beni del demanio della navigazione interna,  del
demanio marittimo,  di  zone  del  mare  territoriale  per  finalita'
diverse da quelle di approvvigionamento energetico». 
    La norma si riferisce genericamente alle «funzioni», quindi anche
- con piana evidenza - alle «funzioni amministrative», peraltro  poco
prima richiamate dallo stesso comma in relazione a diverse materie. 
    Proprio nelle funzioni amministrative e sull'organizzazione degli
uffici regionali incide la disciplina  qui  censurata,  imponendo  la
chiusura   dei   procedimenti   in   corso   su   semplice    domanda
dell'interessato e a fronte del pagamento ridotto  del  quale  si  e'
gia' fatto cenno. 
    7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 100, comma 10-bis, del
decreto-legge n. 104 del 2020. 
    Violazione degli articoli 3, 81, 117, commi 3 e 4,  e  119  della
Costituzione. Violazione degli articoli 4 e 48 dello statuto speciale
della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   approvato    con    legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, anche in riferimento al decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.  469  del  1987,  al   decreto
legislativo n. 265 del 2001 e al decreto legislativo n. 111 del 2004. 
    Il comma 10-bis, introdotto con la legge n. 126 del 2020, dispone
che «All'art. 32, comma 1, del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.
133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014,  n.
164, la parola: "turisti" e' sostituita dalla seguente: 
        "diportisti" e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ",
con esclusione dei servizi resi nell'ambito di  contratti  annuali  o
pluriennali per lo stazionamento"». 
    A seguito della novella  legislativa,  il  testo  coordinato  del
richiamato art. 32 del decreto-legge n. 133 del  2014  e'  dunque  il
seguente «Al fine di rilanciare le imprese della filiera  nautica,  a
decorrere dal 1° gennaio 2016, le strutture organizzate per la  sosta
e il pernottamento di diportisti all'interno delle proprie unita'  da
diporto ormeggiate nello specchio  acqueo  appositamente  attrezzato,
secondo i requisiti stabiliti dal Ministero  delle  infrastrutture  e
dei trasporti, sentito  il  Ministero  dei  beni  e  delle  attivita'
culturali e del turismo, rientrano nelle strutture ricettive all'aria
aperta, con esclusione dei  servizi  resi  nell'ambito  di  contratti
annuali o pluriennali per lo stazionamento». 
    L'effetto  di  questa  norma  e'  quello  di  limitare  ai   soli
diportisti  le  agevolazioni  sull'IVA  per  la  sosta   e   per   il
pernottamento  nei  «marina  resort»  (strutture  ricettive  all'aria
aperta) originariamente previste per tutti i turisti. Di  conseguenza
a questi ultimi si applichera' l'aliquota ordinaria del 22%  anziche'
quella del 10%. 
    E' evidente  che  l'introduzione  di  tale  aumento  dell'imposta
determinera' effetti dannosi per il sistema economico  regionale,  in
quanto spingera' i turisti non diportisti ad abbandonare o a  ridurre
drasticamente il periodo di stazionamento nelle acque  della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  particolarmente  pregiudicata   in   ragione
dell'importanza del turismo nautico per la sua autonomia (e  a  causa
della concorrenza delle vicine  Slovenia  e  Croazia).  A  fronte  di
questo indubbio elemento di danno  per  l'economia  regionale  e,  di
conseguenza, per le entrate regionali connesse al ridotto  flusso  di
turisti, la norma in esame non prevede  misure  compensative  per  la
regione. 
    Tanto  si  risolve  nella  lesione   dell'autonomia   finanziaria
regionale e della competenza legislativa nella materia «coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario» e,  di  conseguenza,
nella contestuale violazione degli articoli  4  e  48  dello  statuto
speciale e 81, 117 e 119 della Costituzione, da cui tale autonomia e'
tutelata. 
    Si badi: e' pur vero che  l'aumento  delle  aliquote  IVA  per  i
«turisti»  potrebbe  portare  un  aumento   del   gettito   derivante
dall'applicazione dell'art. 49 dello statuto che stabilisce le  quote
di spettanza regionale sui tributi statali. 
    Tuttavia,  com'e'  ampiamente  noto,  l'aumento  delle   aliquote
fiscali agisce sull'economia  reale  come  strumento  depressivo.  In
sostanza, numerosi turisti  troveranno  piu'  conveniente  orientarsi
verso le coste dell'altra sponda  dell'Adriatico,  dove  troverebbero
una tassazione agevolata. Quella qui in discussione  e'  una  vera  e
propria illegittima «tassa sul  turismo»:  un  tale  aumento,  com'e'
evidente, pregiudica gravemente tale mercato, sottraendo al  decisore
politico regionale  la  possibilita'  di  imprimergli  un  differente
orientamento. 
    La leva fiscale, invero, e'  un  potente  strumento  di  politica
economica.  Di  conseguenza,  in  considerazione  del  fatto  che  la
tassazione qui  contestata  riguarda  una  materia  evidentemente  di
esclusiva competenza regionale (art. 4  dello  statuto),  la  regione
deve poter utilizzare anche la leva fiscale nel bouquet di misure che
la riguardano. 
    A cio' si aggiunga il profilo di evidente irragionevolezza  della
disposizione. La norma infatti, peraltro impingendo nelle  competenze
della regione, previste dall'art. 4 dello statuto, risulta viziata da
irragionevolezza intrinseca, ponendosi cosi' in contrasto con  l'art.
3 della Costituzione. Come abbiamo visto, invero, il decreto-legge in
parola e' rubricato «Misure urgenti per il  sostegno  e  il  rilancio
dell'economia» e nella premessa reca l'impegno di «Introdurre  misure
in materia di lavoro, di salute, di scuola, di autonomie  locali,  di
sostegno  e  rilancio  dell'economia,  nonche'  misure   finanziarie,
fiscali e di sostegno a diversi settori in connessione  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19». Ebbene: e' del tutto  evidente  che  una
misura di aumento cosi' drastico (pari al  doppio!)  dell'imposizione
fiscale ha un effetto contrario rispetto all'obiettivo dichiarato  di
rilancio dell'economia. 
    La previsione di cui all'art. 100, comma 10-bis,  in  definitiva,
lede la competenza legislativa della regione, che non  puo'  modulare
la leva fiscale su un presupposto d'imposta che ricade nella  materia
«turismo», di sua competenza primaria. In questo modo,  poi,  risulta
violato anche l'art. 81 della Costituzione, leso  da  una  previsione
che  altera,  senza  alcuna  oculata  considerazione  macroeconomica,
l'equilibrio del bilancio regionale. 
    8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 100, commi 1, 2, 3, 4,
5, 7, 8, 9, 10 e 10-bis del decreto-legge n. 104 del 2020. Violazione
degli articoli 5, 117,  118  e  120  della  Costituzione.  Violazione
dell'art. 4  dello  statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia approvato con legge costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1,
anche in riferimento al decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
469 del 1987, al decreto legislativo n. 265 del  2001  e  al  decreto
legislativo n. 111 del 2004. 
    Non   basta.   Le    disposizioni    impugnate,    rideterminando
unilateralmente la durata delle  concessioni  dei  beni  del  demanio
regionale nonche' la misura dei canoni delle concessioni dei beni del
demanio idrico  e  marittimo  (tutti  destinati,  lo  si  ripete,  al
bilancio regionale) dettano misure in  riferimento  alle  concessioni
demaniali, rientranti  nell'ambito  competenziale  della  regione  ai
sensi degli articoli 117 e  118  della  Costituzione,  4  e  8  dello
statuto, violando altresi'  il  principio  di  leale  collaborazione,
tutelato dagli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    Come gia' detto, le disposizioni censurate ricadono in un  ambito
materiale di sicura competenza statutaria della regione (v.  sentenza
Corte  costituzionale  n.  109  del  2018,  cit.).  In  tale   ambito
l'intervento statale e' escluso, salvo il ricorrere delle  ipotesi  e
dei   presupposti   che   giustificano   la   c.d.    «chiamata    in
sussidiarieta'». Resta pero' fermo, in  tali  eccezionali  evenienze,
l'onere per il legislatore statale  di  prevedere  un  coinvolgimento
concreto ed effettivo delle regioni in sede attuativo-amministrativa,
nella nota forma dell'intesa (forte) imposta dal principio  di  leale
collaborazione. 
    Al  fine  di  preservare  le  attribuzioni  costituzionali  delle
regioni, infatti, la «chiamata  in  sussidiarieta'»  deve  mantenersi
entro  confini  particolarmente  stringenti.  Come  si  legge   nella
sentenza n. 7 del 2016 di codesta ecc.ma Corte (ove - a dimostrazione
che trattasi di giurisprudenza costante - si riprendono  testualmente
passaggi della sentenza n. 6  del  2004,  a  sua  volta  legata  alla
sentenza n. 303 del 2003): 
        «perche' nelle materie di cui all'art. 117,  terzo  e  quarto
comma della Costituzione,  una  legge  statale  possa  legittimamente
attribuire funzioni amministrative a livello  centrale  ed  al  tempo
stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che  essa  innanzi  tutto
rispetti  i   principi   di   sussidiarieta',   differenziazione   ed
adeguatezza  nella   allocazione   delle   funzioni   amministrative,
rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni»; 
        «E' necessario [...] che  tale  legge  detti  una  disciplina
logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette
funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile
a tale fine»; 
        «essa deve risultare adottata  a  seguito  di  procedure  che
assicurino  la  partecipazione  dei  livelli  di  governo   coinvolti
attraverso  strumenti  di  leale  collaborazione  o,  comunque,  deve
prevedere  adeguati  meccanismi  di  cooperazione   per   l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo  agli  organi
centrali»; 
        «la legislazione statale di  questo  tipo  "puo'  aspirare  a
superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di
una disciplina che prefiguri  un  iter  in  cui  assumano  il  dovuto
risalto le attivita' concertative  e  di  coordinamento  orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al  principio
di lealta'" [...]». 
    Ora,  le  disposizioni  impugnate  non  prevedono   alcuna   fase
attuativo-amministrativa  delle  misure  introdotte,   rideterminando
direttamente sia la durata  delle  concessioni,  sia  la  misura  del
relativo canone. 
    Non solo. Dette norme impongono altresi' dettagliate modalita' di
attuazione  delle  suddette  previsioni,   assumendo   un   contenuto
chiaramente provvedimentale. Al riguardo, basti osservare,  a  titolo
esemplificativo, che: 
        al comma 3 e' disposto che «Le somme per  canoni  relative  a
concessioni demaniali marittime di cui al primo periodo,  versate  in
eccedenza rispetto a quelle dovute a decorrere dal 1°  gennaio  2007,
sono compensate - a decorrere dal 2021 - con quelle da  versare  allo
stesso titolo, in base alla medesima disposizione,  in  rate  annuali
costanti per la residua durata della concessione.  Gli  enti  gestori
provvedono al ricalcolo delle  somme  dovute  dai  concessionari  con
applicazione dei citati criteri  dal  1°  gennaio  2007  fino  al  31
dicembre 2019, effettuando i  relativi  conguagli,  con  applicazione
delle modalita' di compensazione di cui al secondo periodo»; 
        al comma 5 e' previsto che «sono sospesi fino al 15  dicembre
2020 i procedimenti amministrativi pendenti alla data di  entrata  in
vigore  dal  presente  decreto   e   sono   inefficaci   i   relativi
provvedimenti gia'  adottati  oggetto  di  contenzioso,  inerenti  al
pagamento dei canoni, compresi i procedimenti e  i  provvedimenti  di
riscossione coattiva, nonche'  di  sospensione,  revoca  o  decadenza
della concessione per mancato versamento del canone»; 
        al comma 7 e'  disposto  che  «i  procedimenti  giudiziari  o
amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore  del  presente
decreto, concernenti il pagamento dei relativi canoni, possono essere
definiti, previa domanda all'ente gestore e all'Agenzia  del  demanio
da parte del concessionario, mediante versamento: 
          a) in un'unica soluzione, di un importo,  pari  al  30  per
cento delle somme  richieste  dedotte  le  somme  eventualmente  gia'
versate a tale titolo; 
          b) rateizzato fino a un massimo di sei  annualita',  di  un
importo pari al 60 per cento delle somme richieste dedotte  le  somme
eventualmente gia' versate a tale titolo»; 
        al comma 8 e' previsto che: «La  domanda  per  accedere  alla
definizione di cui al comma 7 e' presentata entro il 15 dicembre 2020
ed entro il 30 settembre 2021 sono versati l'intero  importo  dovuto,
se in un'unica soluzione, o la prima rata, se rateizzato»; 
        al comma 10 e' disposto che «La presentazione  della  domanda
nel termine di cui al comma 8 sospende i  procedimenti  giudiziari  o
amministrativi di cui al comma  7,  compresi  quelli  di  riscossione
coattiva  nonche'  i  procedimenti  di  decadenza  della  concessione
demaniale marittima per mancato pagamento del canone. La  definizione
dei procedimenti amministrativi  o  giudiziari  si  realizza  con  il
pagamento dell'intero importo dovuto, se  in  un'unica  soluzione,  o
dell'ultima rata, se rateizzato. Il mancato  pagamento  di  una  rata
entro sessanta giorni dalla relativa scadenza comporta  la  decadenza
dal beneficio». 
    Com'e'  evidente,  dunque,  il  legislatore   statale,   con   le
disposizioni impugnate, disciplinando con atto avente forza di  legge
aspetti delle concessioni di beni del demanio marittimo e  idrico  di
carattere strettamente amministrativo, ha violato gli articoli 117  e
118  della  Costituzione  oltreche'  eluso   il   dovere   di   leale
collaborazione, da osservare  in  sede  attuativo-amministrativa,  ai
sensi degli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    In un caso analogo a quello di specie,  l'ecc.ma  Corte  ha  gia'
ritenuto che la legge statale, «nella parte  in  cui  fissa  in  modo
puntuale la disciplina amministrativa per l'esercizio  dell'attivita'
[...] rientrante nelle materie di competenza esclusiva delle regioni,
in assenza di esigenze unitarie da tutelare, violi gli articoli 117 e
118 della Costituzione» (sentenza n. 339 del 2007). 
    Si aggiunge, qui, che  l'adozione  della  forma  legislativa  per
adottare misure che hanno sostanza amministrativa non  puo'  esentare
il  legislatore  statale  dal  rispetto  del   principio   di   leale
collaborazione,  che,   peraltro,   com'e'   noto,   in   circostanze
particolari trova applicazione  anche  in  riferimento  all'attivita'
legislativa. 
    Nondimeno,  se  anche  il  legislatore  statale   avesse   potuto
intervenire  a   disciplinare   direttamente   tali   profili   delle
concessioni demaniali,  allora  il  dovere  di  leale  collaborazione
avrebbe dovuto essere  assolto  in  quella  sede,  vale  a  dire  nel
procedimento   legislativo,   prevedendo    specifiche    forme    di
interlocuzione con la regione.